La Moneta Cortonese – Cortonese “Caput Monetae”
Nel “racconto” sulla circolazione monetaria a Narni, precedentemente inserito nelle uscite quindicinali delle Pergamene, abbiamo affrontato, tra l’altro, il Cortonese inteso come moneta. In questo nuovo proveremo, senza pretesa di essere esauriente, a capire perché questa moneta, nel periodo considerato, abbia goduto di tanta fortuna.
Gulielmino degli Uberti e la Zecca a Cortona
Dunque, sappiamo che il vescovo Guglielmino degli Uberti dovette aver installato una zecca in Cortona dopo aver sottomesso quel centro, (1258) tanto che ci giunge un documento del 1 ottobre 1262 con il quale il presule diffida i “dominis de moneta de Cortona” di coniare in quella zecca in assenza di un suo mandato. ( Guazzesi 1769. Scharf 2013)
Sappiamo, anche che la zecca coniò, per breve periodo, dal 1258 al 1289 e che le monete dette “cortonesi” vennero battute con “ legenda” di Arezzo, e con un numerario talmente basso, da far dire a Girolamo Mancini :
“ della moneta cortonese sono straordinariamente rari gli esemplari”.
In alcuni atti cortonesi del 1272-1276, le cifre sono espresse nella valuta di “denariorum blancorum aretinorum qui volgo dicantur cortonenses”. In un contratto rogato nel dicembre 1283 dal notaio Orlando le monete vengono qualificate come “ libras bonorum denariorum alborum nunc usualium, qui dicuntur denari cortonensis”, dove cortonensis sostituisce la parola arretinos precedentemente cassata. ( Stahl. Mancini. Montagano-Sozzi.)
Chiarito il tema della identificazione del cortonese, (vedi anche I Racconti delle Pergamene. N° 25) è bene identificare l’area monetaria dove la moneta esercitò il ruolo dominante. Per area monetaria si intende l’area geografica all’interno della quale, le specie monetarie prodotte da una determinata zecca, “dominavano” su tutte le altre monete circolanti nella regione.
La suddetta moneta guida avrebbe rappresentato una sorta di punto di riferimento per ogni altra moneta.
Questo implica di conseguenza un’attenzione per gli usi di una “moneta di conto” basati sulla moneta della zecca dominante, cui le diverse monete circolanti devono fare riferimento.
Ma quando una moneta si può definire dominante? Ed il cortonese fu moneta dominante?
Un lungo elenco di documenti, sembra accreditare la moneta cortonese come “caput moneta”. L’Alticozzi cita contratti stabiliti in moneta cortonese rogati a Castel del Piano 1268, a Montepulciano 1269, a Todi 1270. I capitoli conclusi nel 18 giugno 1269 fra Perugia e Orvieto menzionano soldi di denari cortonesi e nel maggio 1270 Orvieto prese in prestito lire 1232 di denari cortonesi. Luigi Fumi aggiunge che: “ la moneta cortonese dal 1260 al 1380 circa è adottata da quasi tutte le città toscane e pontificie.
Discorso a parte meritano gli statuti; infatti oltre a Narni, troviamo che, negli statuti dei comuni dell’Italia centrale molti usano il cortonese come moneta di riferimento, tra i quali, Castel del Piano, Montepulciano, Todi, Radicofani, Arcidosso, Chianciano, Città di Castello, Orvieto. A Foligno sono messi fuori corso nel 1322 e sostituiti con quelli di Perugia, così come ad Amelia nello statuto del 1346.
Ed è a questo punto che sorgono alcune perplessità sulla effettiva corrispondenza monetaria negli statuti alla reale portata economica del denaro cortonese.
In molti documenti il denaro viene definito come buoni denari e cattivi denari ( mali piczioli, boni piczioli ) ; per la differenza di intrinseco valore ( il valore del metallo contenuto nella moneta), vengono definiti, anche se con repentini spostamenti, buoni i denari di Siena, Lucca, Pisa, Firenze, Ravenna e Ancona. Vengono definiti cattivi i denari di Viterbo, Arezzo, Cortona, Santa Fiora, Volterra e Perugia. (A. Rovelli).
I cattivi denari venivano, con delibere comunali, messi fuori dalla circolazione legale, perchè andavano a sostituire i buoni, che venivano tesaurizzati dai cittadini, in quanto coniati con maggior intrinseco di argento (legge di Gresham, il cattivo denaro scaccia dalla circolazione il buono. Es. 500 lire d’argento e di carta) ma Cortona rimane sempre catalogata tra i cattivi denari. Se questo è vero, come può il denaro cortonese essere considerato di riferimento negli statuti comunali?
I notai
La stesura degli statuti comunali veniva affidata, oltre che a “ boni homines” della città, ad un notaio;
……” uno di quei notai che girovagavano da una città all’altra come ufficiali, sia entro che fuori i confini dello Stato della Chiesa. E a cinquant’anni e un po’ di più, poteva dire di aver acquistato una bella esperienza. Aveva ricoperto incarichi di questo tipi nelle città marchigiane di Ancona, Jesi, Fano, Pesaro, Ascoli, Macerata, con le rispettive diocesi. In Romagna aveva servito sei mesi ogni volta a Rimini e Forlì, e aveva frequentato con il medesimo scopo o altro scopo, le città di Cesena, Forlimpopoli, Faenza. Era stato inoltre ufficiale nella provincia spoletana, precisamente a Spello, Montefalco, Bevagna, Foligno, ed in Toscana e nelle grandi città di Firenze e Siena. Aveva anche servito il re Roberto di Napoli, e per diciotto mesi a Manfredonia, Barletta, Bari, Trani, Napoli e altri luoghi”.
(A. Luongo) .
……” I notai in rapido avvicendamento e spostamento da luogo a luogo (Gioacchino Volpe li paragonò ad uccelli migratori), ebbero verosimilmente una grande importanza nel plasmare il diritto statutario dei comuni del territorio ove operavano, proponendo modelli, suggerendo soluzioni altrove seguite, rappresentando istanze cittadine, mettendo il proprio bagaglio di conoscenza tecnica al servizio di locali organi deliberanti. Il loro ruolo può essere comunque valutato meglio considerandolo entro il tema, più generale, delle “influenze esterne” sui contenuti giuridici dello statuto. Vi sono d’altronde anche evidenti similitudini e in certi casi vere adozioni o “copiaticci”, in cui probabilmente giocarono un ruolo fondamentale i notai a servizio presso i comuni, in rapido spostamento da un luogo all’altro al termine del breve servizio di carica.
( Alessandro Dani).
Chi erano dunque questi notai ?
Per noi tra molti, importante è Nicola di ser Marco, che faceva parte di una famiglia di notai. Il genitore, ser Marco Dovizi Alberghetti, fu console di Gubbio (1327, 1330, 1337 e 1342) e partecipò per otto volte alle commissioni straordinarie degli stessi decenni. La posizione di Marco consentì a due dei tre figli, Nicola e Francesco di diventare a loro volta notai. Il figlio di Nicola, Ghino o meglio Ser Ghino di ser Nicola di ser Marco, divenne notaio di fiducia del vescovo- rettore Gabriele Gabrielli, testimoniato dagli atti relativi alle trattative fra il vescovo e i fuoriusciti eugubini mediate dal comune di Perugia. Tra i registri giunti fino a noi, ser Ghino compare come “curie episcopali notari”. (Alberto Luongo).
Lo stesso, ser Ghino di ser Nicola di ser Marco, che redasse in lingua latina gli statuti narnesi del 1371. (Giffoni- Mosca)
Può essere spiegato cosi, la presenza della moneta detta cortonese, nei tanti statuti medioevali?
E se si quale fu lo statuto madre?
Domande a cui per ora non siamo in grado di dare risposta, ma poniamo invece ulteriori interrogativi. Cosa circolava allora in Umbria?
Valore della moneta cortonese circolante
…..” Per l’oro, tutti i documenti sono espliciti: il fiorino costituiva la valuta comunemente accettata per i grossi pagamenti e come misura di valore per i beni importanti. Per la moneta d’argento, denari lucchesi, senesi, moneta di Ravenna, di Ancona e infine, e qui veniamo a un caso piuttosto singolare, i denari cortonesi, presenti non a Perugia, ma a Spoleto, come risulta soprattutto dagli statuti del 1296.
Però la moneta di Cortona di questo periodo non esiste o almeno i pochissimi esemplari noti sono di autenticità molto dubbia, tanto da far pensare che come città non abbia mai battuto moneta.
Questione questa, ancora aperta, che necessita di ulteriori approfondimenti sui documenti e sulle collezioni numismatiche, che riguarda la circolazione monetaria in Umbria nel periodo comunale, “uno di quei casi di divergenza, tra documento scritto e documento moneta, tuttora insoluti.” (Francesco Pavini Rosati).
Che il ruolo della lira e del soldo cortonese, negli statuti, fosse invece solo semplice riferimento numerico delle monete effettivamente circolanti, è solo nostra ipotesi? ……” i termini lira e soldo avevano un significato universalmente identico: ovunque, a Genova come a Milano, a Firenze come a Barcellona o a Marsiglia, essi significavano rispettivamente 240 e 12. I denari a cui facevano riferimento non erano gli stessi; ma il numero dei denari che essi rappresentavano era ovunque e sempre lo stesso…la gente usò sempre i termini lira e soldo per dire rispettivamente 240 volte e 12 volte la moneta di base effettiva, di solito cioè il denaro circolante.” (Carlo M. Cipolla)
Che il denaro detto “cortonese” negli statuti abbia assolto, solo, questa funzione numerica?
Marco Carlini
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