I CANONICI DI VIENNE
e il fuoco sacro a Narni
Il Fuoco e il Tau
Nel Tesoro della Cattedrale di Narni si conserva un busto d’argento di Sant’Antonio abate, ricollegabile alla omonima e perduta chiesa che sorgeva sulla piazza del Lago, oggi Garibaldi.
Un reliquiario del XVII secolo, esposto nel 1974 nella “Mostra di Arredi sacri delle Diocesi di Terni Narni Amelia”, curata da Mario D’Onofrio, sul quale compaiono la Fiamma e il Tau, ossia il ‘Fuoco Sacro’ e la lettera che identifica la Croce. Simboli che suggeriscono la consistenza dell’Ordine ospitaliero di sant’Antonio abate, detto di Vienne, e talvolta di Vienda, dalla città francese in cui era stato fondato nel 1070. Una ‘Religione’ riformata dopo oltre due secoli da papa Bonifacio VIII, e affidata a Canonici che seguivano la regola di sant’Agostino, e che si distinguevano per il Tau cucito sulle vesti.
I porci di sant’Antonio
Gli Antoniani di Vienne, che in seguito aprirono diversi ospizi in località di grande transito, come la piemontese Ranverso, furono anche definiti ‘Cavalieri del Fuoco Sacro’, in quanto esperti nel curare la malattia detta ‘Fuoco di sant’Antonio’, per cui avevano facoltà di accudire alcuni maiali tra le mura urbane, al fine di utilizzarne il lardo come medicamento. Ed è noto che tra le mura di Narni non potevano aggirarsi i maiali, ‘eccetto sei porci di Sant’Antonio’, ossia ‘Exceptis Porcis de Sancto Antonio in quantitatem VI’, come si legge negli Statuti del 1371, al 150 del Libro Terzo.
Tuttavia quegli animali dovevano essere muniti di un anello di ferro alle narici, per non devastare il manto stradale con il muso, e della regola ne rispondevano i custodi, passibili di una multa di venti soldi cortonesi.
La Precettoria
A dare evidenza ai ‘porci di sant’Antonio’, e ad avvalorare l’esistenza di un Ospedale, Precettoria o Casa, che di quell’uso poteva trarne un vantaggio, si cita una pergamena del 17 novembre 1399, in cui si porta come confine l’Ospedale di sant’Antonio, ossia un suo tenimento in località Alvanecte (Doc. 147 Arch. Capitolare di Narni).
Si ha quindi certezza che sul finire del Trecento a Narni esisteva una Casa ospitaliera antoniana, o Precettoria, retta dai Canonici di Vienne; e si aggiunge che la medesima era soggetta alla Precettoria generale di Firenze, come si ricava da una Lettera del 17 maggio 1412 dell’antipapa Giovanni XXIII, che intendeva appianare alcune questioni verificate in quegli anni di Scisma (Arch. Firenze).
La Casa di Narni, che si configurava nel complesso della chiesa del Lago, dipendeva pertanto da una Precettoria di maggior rilevanza, e a sua volta poteva essere a capo di altri ospizi esistenti nel circondario, come solitamente avveniva in quel sistema.
La Confraternita di Sant’Antonio
La Sede toscana diminuì di importanza verso i primi decenni del Cinquecento, e con essa si spegnevano le Precettorie collegate, e quella di Narni, tra le prime nell’elenco del ricordato Giovanni XXIII, era di certo tra le più importanti. E forse fu la sola a proseguire un percorso ricomponendosi in Confraternita, e tanto si desume dal manoscritto Brusoni (II, 1095. Bibl. Narni), che indica l’origine dell’Associazione al 15 aprile 1519, come da convalida, -confirmet et approbet-, di papa Leone X: quel Giovanni dei Medici che nel 1491 era Commendatario della Precettoria antoniana di Firenze (Manni), e poteva ben conoscere la realtà di Narni.
Dove, dalla Casa alla Confraternita si registrava una continuità di luogo e di beni, tra i quali la statua lignea dell’Abate, del 1475, e la tavola di san Giovenale, entrambi del senese Lorenzo di Pietro detto Vecchietta.
Non tutte le Precettorie scomparvero in quel periodo, e molte continuarono solo nella gestione dei patrimoni accumulati con offerte e lasciti. Mentre sulla loro decadenza poté incidere il peso di altri ospizi, come a Narni, dove predominava l”Hospitalis S. Iacobi’ (Statuti, I, 61 e vari), al quale era seguito l’Ospedale della Santissima Trinità, “deputato a curar infermi, ricever peregrini, viandanti, et a certo tempo si trova anco haver allevato li infanti esposti, et maritate alcune zitelle”, come riferiva nell’anno 1571 Pietro Lunel, vescovo di Gaeta e visitatore apostolico (Arch. Dioc.).
Segni di Devozione
Comunque sia stato, le rimanenti Case antoniane si protrassero fino al 16 dicembre 1775, quando papa Pio VI abolì l’Ordine, confluito con religiosi e proprietà in quello di Malta.
E della vasta rete di accoglienza che aveva attraversato l’Europa, insistendo anche su Narni, restava appena una memoria nel culto per il “Vertudioso Confessore Santo Antonio de Vienda” (Lauda di Assisi, sec. XIV, in AA-vv.), che essendo anche protettore di animali da tiro, da soma e da trasporto, coinvolgeva diversi strati sociali, dai bifolchi ai mercanti e naturalmente ai cavalieri, per i quali quei quadrupedi erano mezzi indispensabili per il lavoro e per gli spostamenti.
Tra i cavalieri, il Gattamelata, vissuto negli anni in cui operava la Precettoria narnese, si dichiarava devoto del “beatissimo sancto Antonio de Vienda” (Testamento, 1441). Una venerazione espressa anche dai pellegrini che andavano a Vienne, e tra loro Luca Panacta di Nepi, che il 7 aprile 1463, a scrittura del notaio Antonio Lotieri, procedeva “a lo viagio de sancto Antonio de Vienda, lo quale ad esso et ad noi faccia bona gratia et ad omne fedele christiano” (G. Levi, in A.S.R.S.P., VI, 1883).
Caffè e Spezieria
Sant’Antonio abate, o di Vienne, era celebrato il 17 gennaio, giorno in cui a Narni si procedeva alla benedizione degli animali, e dalla chiesa si snodava “il solenne e così detto strascino de’ travi”, rituale, forse associato al fuoco, del quale parlava Giovanni Eroli in una Lettera datata 1851 (L’Album, XXIII, 1857).
Inoltre, quasi a rapportarsi alle attività legate un tempo ai ‘porci di sant’Antonio’, si macellavano i maiali, la cui carne era “mangiata dai ‘festaroli’, dai canonici, dai ‘fratelloni’, dai padroni e anche da altri per divozione”, come annotava Gelindo Ceroni in “Castelli umbro sabini”, editi nel 1930.
Alla metà dell’Ottocento, quando Eroli scriveva sulla festa, i locali della chiesa erano già stati reinventati in un Caffè e in una Spezieria, o farmacia. Una trasformazione che attestava il declino della Fraternita, e concludeva l’avventura antoniana di Narni, della quale restano tracce nei documenti e quelle testimonianze d’Arte che oggi si trovano in Cattedrale, e che in origine erano nella chiesa del Lago, dove tutto è iniziato.
Claudio Magnosi
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Altre note:
-L.Torelli, Secoli agostiniani, 1678. -Doc. 147 in Le pergamene dell’archivio del Capitolo della Cattedrale di Narni (1047-1941) Regesti. C. Perissinotto, E .David, C. Carmi, V. Coronelli, -Sovrintendenza archivistica per l’Umbria, Perugia 2017.
-Arch. Dipl. di Firenze, Inv. 1913,79- I. Ruffino, Storia ospedaliera antoniana, Effatà 2006. -D. M. Manni, Delle Osservazioni, 1749 – G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, 1756.