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NARNI RUBATA

Nel Patrimonio di San Pietro

Negli anni Quaranta del Trecento, mentre la sede pontificia era ad Avignone, Narni non era molto allineata al Patrimonio di san Pietro, che era il governo tra Viterbese e Umbria dal quale dipendeva. E che richiedeva una sottomissione regolamentata da statuti, testimoniati dall’affresco laico in Cattedrale, dei quali nel 1347 era garante il vescovo Agostino Tinacci.

Ma la città, pur aderendo formalmente a quei dettati, di fatto si considerava libera, e si comportava come tale. Perché era capace di autonomia e sapeva coltivare alleanze, favorita da una via di notevole transito e da avviati commerci, come quelli dell’uva passa e della lana, che coinvolgevano mercanti e banchieri di Firenze, Prato, Signa e di altre località della Toscana.

 

Nella ‘libera’ Narni

E proprio Firenze divenne riferimento per la ‘libera’ Narni, che accolse ambasciatori a iniziare da ser Bartolo Benni da Signa che arrivò nell’agosto 1346, a proseguire fino al 1381 con Nicolò di Pietro Pucci, Lapo Pieri, Giovanni Gucci, di nobili famiglie, ed altri ancora, quasi a delineare una Delegazione stabile.

Mentre si registrava l’invio a Firenze di alcuni cittadini narnesi che potevano giovare  alla Repubblica. E tra loro Berardo Massei, che fu podestà nel 1345, e Francesco di Bartolomeo che era giudice nello stesso anno. Ed ancora nel 1369 Paolo Andrielli di Alvenino, e Antonio di Andrea di Marinata, che operava nel 1383.

Era un rapporto pari, e i visitatori fiorentini, garantirono vicinanza anche nel 1357, tempo in cui il vescovo Agostino Tinacci a nome del cardinale Albornoz -che allora firmava le Costituzioni egidiane- cercava di ridimensionare la stessa Firenze, dove per altro benedisse alcune fondamenta della Cattedrale meritandosi una statua sulla facciata. E quei contatti  proseguirono oltre un decennio dopo la stesura degli Statuti del 1371 e dell’arrivo del governatore pontificio, consentendo a Narni di praticare una amministrazione in qualche modo autonoma.

 

Quando Narni fu rubata

Tuttavia negli anni Settanta era mutato lo scenario politico, ed era cambiato il profilo della città, sul cui monte dove prima era il monastero di santa Maria Maddalena era sorta una fortezza, voluta dal cardinale Albornoz a controllo del territorio.                                                                                    Ma la ‘libera’ Narni si ribellò al nuovo sistema, restando unita a Firenze, per cui nel 1375 ‘riceve dai fiorentini un vessillo rosso ove leggesi in argento la magica parola Libertas’ (Ceroni). E nel contesto si inseriva anche il vescovo Luca Bertini, che dal Patrimonio fu inviato come ambasciatore a Firenze e lì imprigionato nel 1376.

Intanto in città tornavano i diplomatici, come Jacopo di Villano da Piombino, venuto a tacitare il dissenso per conto del legato pontificio per l’Umbria. Mentre tra le mura si generava una guerra tra chi era a favore o contro la Chiesa, con interventi di forze esterne. E non meraviglia che Piero Minerbetti nella Cronaca dal 1385 abbia titolato quel confuso periodo di libertà tradita ‘Come la Città di Narni fu rubata dagli amici e da’ nimici’.

 

Tutto diventa Storia

Nel 1381 compariva Jacopo di Tommaso, ultimo ambasciatore di Firenze a noi noto, nel tempo in cui Roma era già dominante. E lo confermano gli Statuti che sancivano il riconoscimento del nuovo governo e indicavano lo stato di sudditanza, e dai quali è comunque iniziato il racconto della Corsa all’Anello, che vi ha saputo cogliere norme fatti e figure, trasformando una intimazione in risorsa.

Per cui dall’indipendenza acquisita mentre il papa era ad Avignone, alla autonomia ‘rubata’, tutto diventa storia, e restano tra le pagine il fantasma di una libertà perduta, e la vicenda delle ‘illustri ambascerie’ fiorentine, che furono occasioni di confronto e lasciarono lunga memoria. Come dimostrava Piero de’ Medici che, in esilio dalla sua Firenze, nel 1495 trovò riparo a Narni.

Claudio Magnosi

 

 

  1. M. Soldini, Delle eccellenze e grandezze della della Nazione fiorentina, 1780. V. Registro ‘Casate e Nomi, le quali sostennero per la Repubblica, e pe’ Dieci di Balia illustri ambascerie dall’Anno 1340 all’Anno 1400’. -P. Tronci, Memorie storiche della città di Pisa, 1682 -AA.vv, Monumenti storici, 1903 -G. Degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l’Umbria nei secoli XIII e XIV, 1904 -G. Ceroni, Spicilegio storico, 1921
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