Lo sfruttamento delle risorse idriche tra XIII-XVI sec. d. C. nel comune di Terni
I – Terni e le sue acque
“L’acqua è fonte di vita e fonte di morte”
Il rapporto uomo-acqua, da sempre, è stato un elemento caratterizzante il processo di sviluppo storico ed ha lasciato una profonda impronta nella storia dei territori, nelle società che vi si sono sviluppate e degli uomini che in questi ambienti hanno lottato, sudato, vissuto e lavorato.
La storia di Terni nasce proprio da questo, la grande presenza di risorse idriche, ben tre sono i fiumi che la circondano, il Nera, il Serra e il Velino, che, sin dall’età del ferro ( X-IX sec. a. C. ) spingeranno un popolo, di origine umbro-sabino, a stanziarsi permanentemente nella valle del Nera.
Questa vicinanza veniva fortemente cercata per due validi motivi : -sfruttamento dei corsi d’acqua per i primi scambi commerciali, a carattere fluviale; – sviluppo dell’agricoltura.
Tuttavia le scarse conoscenze riguardanti la gestione delle acque, portavano questi popoli a stanziarsi nelle vicinanze di corsi d’acqua,e a subire il loro variare imprevedibile, causando alluvioni e smottamenti.
Per una prima soluzione del problema dovremo aspettare il VI sec. a.C. ,quando la città entra già nell’orbita d’interesse di Roma, la quale iniziò anche una riorganizzazione dell’abitato, coinvolgendo i nuclei cittadini già presenti e quelli sparsi nelle circostanti campagne, conferendo alla nascente città quell’assetto urbanistico che la caratterizzerà fino ai giorni nostri ( l’antico cardo maximus è oggi visibile nell’asse Corso del Popolo-Corso vecchio, mentre il decumano maximus nell’asse Via Garibaldi- Via Cavour ).
Sotto Roma iniziarono importanti opere di bonifica e canalizzazione, a partire dal 271 a.C., vennero scavati i canali Cervino e Sersimone, inoltre nel 291 ebbe inizio la colossale opera di deviazione del Velino nel Nera, grazie al genio di Manio Curio Dentato, che diede vita alla cascata delle Marmore, con la quale, insieme all’escavazione della cava Curiana, si cercava di limitare e controllare le alluvioni del Tevere.
Purtroppo questa ondata di sviluppo cittadino e di accrescimento economico si arrestò bruscamente con la fine dell’impero Romano, a causa delle continue invasioni e della scarsa difendibilità della città, poiché posta in piano all’interno di un anfiteatro naturale, la città si spopolo’ e le mura romane vennero quasi completamente rase al suolo.
La situazione rimase così immutata per molto tempo.
Tra l’ XI-XIII sec. d. C. la situazione ternana ebbe un mutamento, grazie alla sua vicinanza allo stato pontificio e all’avvento dei comuni nel XII sec. Terni diede il via ad una seconda fioritura, che vide nello sfruttamento delle risorse idriche il suo trampolino di lancio.
In un periodo compreso tra il XII e il XVI sec. la città ebbe un incremento demografico ed economico mai visto in precedenza, intorno alla metà del XV sec. contava la bellezza di 61 mulini ( agli inizi del XX sec. se ne contavano 124 in funzione ).
Il primo segnale che evidenzia questa ripresa fu proprio la ricostruzione e l’ampliamento del circuito murario nel XIII sec., a questa seguì l’edificazione del palazzo del comune con annessa torre dell’orologio ad opera di Anastasio di Giovanni di Tebalduccio, con questa opera si voleva sottolineare un grande cambiamento, cioè la vita non sarebbe più stata regolata dai tempi della campagna, ma dai ritmi della civiltà.
II – I Mulini
La storia della macinazione, attraverso le ricerche archeologiche, ci ha mostrato che le tecniche di frantumazione e macinazione delle granaglie risalivano almeno all’età neolitica, che si sviluppò fino a raggiungere la storica macina a due palmenti rotondi, azionati dalla forza dell’uomo o di un’animale, come nella famosa mola Asinara di epoca romana, culmine di un processo di ricerca.
Con il passare del tempo dalla mola asinara si passò ad un mulino alimentato ad acqua ( ed a vento) e il primo modello fù quello a ruota orizzontale, detto anche a ritrecine, da considerarsi una invenzione della civiltà mussulmana, che poi si diffuse dapprima in Grecia, poi nel resto dell’Europa, per giungere a Roma intorno al I sec. a. C. in piena età augustea.
Questo tipo di mulino a ruota orizzontale era costituito da una piccola ruota orizzontale a cucchiaio (o anche detta cucchiara ) che veniva alimentata da un canale di legno, o murato, inclinato ad una angolazione di 45°.
La caduta a 45° era fondamentale per il corretto funzionamento del mulino, perché serviva a generare una forte pressione sulle pale della piccola ruota, posta sotto l’edificio, che attraverso un albero verticale trasmetteva la forza motrice generata direttamente alla macina, molto pesante, con la quale si polverizzava il grano e o si schiacciavano le olive.
Intorno al finire del I sec. a. C. dai romani venne realizzata una seconda tipologia di mulino a ruota verticale, o anche chiamato Vitruviano, dove una ruota motrice verticale a pale, mediante un primo albero orizzontale, trasmette energia ad un secondo albero verticale, e da li direttamente alla macina, questa nuova tecnologia necessitava di un minor quantitativo di acqua, ma doveva essere costante.
In ambo i casi il canale era parte integrante della macchina-mulino, perché doveva rifornire di abbondante e costante acqua la struttura, che meccanicamente la trasformava in energia utile allo svolgimento delle attività e per questo erano collegati direttamente al fiume che li alimentava, nel nostro caso il Nera.
Per quanto concerne Terni, vista la grande disponibilità di corsi d’acqua a carattere torrenziale e la costante presenza idrica data soprattutto dal Nera, si vide l’affermarsi di mulini a ruota orizzontale, che seppur lentamente, iniziarono ad essere costruiti in numero sempre maggiore, fino ad avere una vera esplosione nel XIV sec., fu lo stesso comune ad effettuare interventi legislativi mirati ad un loro sviluppo.
Le fonti locali ci spiegano che per un corretto funzionamento dei mulini i canali venivano dotati di condutture e fossati, all’interno delle quali si trovavano delle chiuse con cui regolare l’afflusso delle acque.
In alcuni casi si attestava anche la presenza del bottaio, in cui veniva accumulata una cospicua quantità di acqua con cui ottimizzare la caduta e la pressione sulla cucchiara.
I mulini di epoca basso medioevale erano affiancati da un altro edificio, dove vi abitavano gli operatori e solitamente vi si svolgevano anche altre attività, sempre collegate alle operazioni di macinatura, ma oltre alla funzione economica del mulino, vorrei soffermarmi anche sul ruolo sociale che ricoprivano questi edifici, poiché l’afflusso di persone/clienti era numeroso. Considerando che l’economia locale era incentrata sulla coltivazione di grano e di olive, i mulini diventavano dei veri e propri luoghi di incontro, dove si effettuavano operazioni di scambio, ma ci si fermava anche solo per mangiare e condividere informazioni con i forestieri o con i concittadini, fondamentalmente i mulini davano vita a dei veri e propri micro cosmi sociali, che purtroppo con il passare dei secoli sono andati diminuendo, fino a sparire quasi del tutto.
III – Gestione delle Risorse Idriche
L’avvento dei Comuni nel XII-XIII sec. lo possiamo definire come un punto focale del processo di cambiamento che aprì la strada a quel periodo aureo che noi tutti conosciamo come Rinascimento.
In questa fase le città iniziarono a svilupparsi in modo autonomo nella loro legislazione ed economia, seppur sotto l’occhio vigile del papato, da una parte, e dell’imperatore dall’altra, ma nonostante ciò, si generò una sorta di mentalità indipendente ed indipendentista.
Per Terni questo processo non fù rapido e tanto meno indolore, in quanto città al confine dello stato pontificio, con una forte identità “ghibellina”, più volte si trovò coinvolta in scontri e conflitti che la videro vincitrice, a volte, e perdente, più spesso.
Tuttavia i moti e gli scontri non hanno arrestato un processo di crescita e sviluppo lento e costante che partì proprio dallo sfruttamento delle risorse idriche e abbiamo una data ben precisa, che venne trascritta nelle riformanze o Riformationes (erano le decisioni prese in seno al consiglio comunale e trascritte da un notaio ), 23 Febbraio 1393.
Il 23 Febbraio 1393 ai congregati venne esposto un sopruso secondo cui un taluni di Papigno si permise di effettuare alcune innovazioni, o modifiche del canale Cervino di proprietà del communis Interamnis, l’intento della persona era quella di edificare un mulino e cercò di deviare il canale così da rifornire l’edificio della forza motrice necessaria.
Alla fine della seduta municipale venne deciso, a pieno suffragio, che il taluni di Papigno doveva provvedere immediatamente alla demolizione del lavoro fatto e al ripristino del canale come era in precedenza, poiché non si doveva modificare il naturale fluire delle acque, inoltre si dovevano far rispettare gli indissolubili diritti del Comune di Terni il quale ne era proprietario assoluto, a lui spettava il controllo del fluire dei vari corsi d’acqua e le opere di manutenzione, inoltre si decise che nessuno avrebbe potuto costruire e/ o modificare i canali e forme senza previo permesso del Comune.
Questo episodio diede il via ad un progressivo e costante cambiamento della situazione, il comune si rese conto che la concessione dello sfruttamento delle acque per generare economia si sarebbe potuta tramutare in una serie di entrate costanti nelle casse, ma queste concessioni vennero regolate in modo capillare e preciso, senza generare eccessi.
In primis vennero decise le funzioni dei singoli canali ovvero: – Canali Cervino e Sersimone, risalenti all’epoca romana avevano un’unica funzione, cioè irrigua, le loro acque dovevano essere utilizzate solamente per irrigare i campi; – forma del Raggio Vecchio, del Raggio Nuovo, delle Murelle, forma Molendinorum e tre monumenti, sarebbero state sfruttate per alimentare i mulini.
Se un privato voleva ristrutturare o edificare un mulino, per prima cosa doveva chiedere al comune il permesso, che concedeva al richiedente lo sfruttamento del mulino per un periodo di anni necessario al rientro della spesa sostenuta e la creazione di un guadagno congruo al lavoro svolto.
Alla fine del periodo stabilito il mulino sia che fosse costruito da zero o ristrutturato da un edificio già esistente, tornava nelle mani del Comune, il quale avrebbe deciso se rinnovare ai precedenti usufruttuari, o trovarne di nuovi.
L’acqua determinò, per la seconda volta nella sua storia, uno sviluppo della città impressionante e rapido, l’acqua dava fertilità ai campi di grano e soprattutto di olive e la grande disponibilità di queste portò alla costruzione di mulini dentro e fuori le mura, le cui concessioni e tassazioni delle acque arricchivano le casse del Comune, il quale alla fine del XVI sec. contava la proprietà di ben 61 mulini operativi.
IV – Lo statuto e le acque
Se sopra ho evidenziato l’importanza dell’avvento dei Comuni in Italia come momento cruciale per la rinascita di Terni,dopo le devastazioni delle invasioni barbariche, per quanto riguarda la stesura dello Statuto dovremo aspettare il 1524.
La stesura degli Statuti lex municipalis ebbe inizio nel XIII sec. e come li descrisse Alberico Rosciate ( XIV sec. ) questi erano una fonte di norme provenienti dall’autonoma capacità di autoregolamentazione di un popolo o comunità, all’interno di cui si sanciva l’esercizio dell’autonomia politica, della giustizia e dell’amministrazione.
Purtroppo questa “autonomia” non si è mai espletata fino in fondo a causa della presenza costante, a volte opprimente, dello stato Pontificio, che vista la vicinanza di Terni a Roma, vista la grande ricchezza idrica, vista la fertilità delle terre e soprattutto, vista la mai celata identità ghibellina della città, poneva un controllo, spesso armato sulla città e le istituzioni.
A causa di questa situazione lo statuto, come sopra detto, venne trascritto solamente nel 1524, in notevole ritardo rispetto ai comuni italiani e quelli circostanti.
Nonostante le limitazioni, venne suddiviso in cinque libri, ognuno dei quali si occupava di tematiche differenti, ed erano suddivisi in rubriche, così da evitare fraintendimenti e confusioni nel suo utilizzo.
Per quanto riguarda la gestione delle acque, se ne parla proprio nel primo libro ( Liber primus ) , il quale è senza titolo, che si occupava di tutto quello che concerneva l’amministrazione della città, dell’elezione del governo di Terni ( priori, durata, competenze, etc. etc. ), del fisco e della selezione dei dipendenti comunali, dove notiamo che due posti erano da destinarsi ai sovrintendenti addetti alle forme.
Questi costituivano una vera magistratura delle acque e per svolgere i loro compiti godevano di ampi poteri di intervento, poiché, per volere del Consiglio Generale, dovevano garantire l’irrigazione di tutte le terre del contado e per questo potevano e dovevano prendere le decisioni ed i provvedimenti necessari.
Per fare un esempio, nella rubrica XXVIII intitolata Delle Formarii et la Sera et Tissino si specificava che i sovrastanti alla forma ( coloro che dovevano controllare e sorvegliare le condizioni delle forme e il corretto fluire delle acque ) dovevano essere quattro, due per ciascun semestre, uno si sarebbe occupato del Serra, mentre l’altro del Cervino.
Se, come specificato in precedenza, lo statuto di Terni era esempio di un’autonomia parziale e condizionata, per quanto riguarda il controllo e la gestione delle acque, la situazione cambia drasticamente e tutto si concentra sul mantenimento di una risorsa che si specificava di proprietà assoluta del Comune di Terni.