Nell’antica città di Narni, la tradizione orafa è stata tramandata nel corso dei secoli. In questo articolo, ci concentreremo sull’arte orafo nel tardo Medioevo e su uno degli orafi più famosi dell’epoca, Battista da Narni.
E’ trascorso qualche anno, -ma per la Festa di Narni tutto è senza tempo-, da quando nel Terziere di Santa Maria si aprì una bottega medievale in cui appariva un orafo, e la figura era Mario Matticari, che orafo lo era per davvero. E certo interpretava, pur non sapendolo, un artista che in città era vissuto a fine Trecento, e che si firmava Battista da Narni. E a dicembre 2022 tutto è tornato in mente, e ho scritto poche righe su un calice di Battista da Narni, che Marco ha letto…e anche così può nascere un Racconto delle Pergamene.
Questo è dedicato a Mario Matticari (C.M.).
La produzione orafa nel Medioevo
L’oreficeria è da sempre tra le tecniche artistiche più apprezzate ed evocative, sia per i materiali preziosi utilizzati che per le tecniche raffinate. Inoltre nel Medioevo sono evidenti le sue strette connessioni con le altre arti figurative, e basti pensare alle tipiche forme dei turiboli in stile gotico che richiamano edifici sacri.
Nella seconda metà del Trecento, l’ornamento venne sempre più concepito come opera del genio di un singolo artista, quindi svincolato dal compito di celebrare principalmente il potere divino e quello temporale, che da sempre si sono avvalsi dell’arte orafa per rappresentarsi.
Questa nuova forma di libertà espressiva stimola il desiderio dei benestanti di possedere gioielli, abiti, per cui nel lusso investe anche la borghesia arricchita.
I gioielli si fanno sempre più carichi di pietre preziose e perle, fin quasi a nascondere le stesse montature. Ora l’immagine di tipo religioso come ad esempio un’Annunciazione o una Crocifissione, vengono presentate in una cornice più ricca di decorazioni naturalistiche.
Così spille “ad anello” si evolvono in forma di cuore, e diventano di moda in tutta l’Europa
occidentale, generalmente regalate come pegno d’amore. Ancora spille in oro, con perle e pietre preziose; e pendagli con rosetta sbalzata e con decorazioni in rose di perline, erano anch’essi simbolo d’amore, come le fibbie da cintura, con raffigurazioni di mani che si stringono in segno di fidanzamento.
Gli anelli, usati come talismani o come sigilli, assumono una funzione decorativa e sono realizzati in oro, argento e pietre preziose con decorazioni araldiche o simboli religiosi ad uso degli ecclesiastici e non solo. Molto diffuso anche l’anello con il nodo d’amore o con le mani intrecciate o in segno di giuramento, recanti scritte sul gambo “io a te, tu a me”.
La tecnica dell’orafo del Medioevo
Tipica dell’epoca la tecnica del niello, (che consiste nel riempire i solchi di un’incisione a bulino con un composto colorato) e soprattutto dello smalto traslucido, per decorare anelli, spille, diademi ed altri monili.
Celebre per utilizzare tale tecnica già a fine Duecento è stato il senese Guccio di Mannaia, che realizzò un calice per il papa Niccolò IV, nella Basilica di San Francesco ad Assisi.
E con lo smalto traslucido è stato eseguito il Reliquiario del Corporale di Bolsena di Ugolino da Vieri (1338), attualmente all’interno del Duomo di Orvieto. Entrambi sono esempi della raffinatezza e del livello estetico raggiunti dall’oreficeria senese, nel XIV secolo.
Nel Medioevo in molte città gli orafi, inizialmente iscritti alle corporazioni dei Fabbri, nel tempo si associarono in una propria aggregazione professionale, rientrando a pieno titolo tra le arti maggiori, di cui talvolta diffondono se non anticipano i modelli. Nasce dunque a tutti gli effetti nel Medioevo la figura dell’orafo.
L’Orafo di Narni
A Narni l’attività di orafo era una pratica di cui si ha riscontro con la figura di Battista detto appunto ‘da Narni’, vissuto verso la fine del Trecento e i primi decenni del secolo successivo. E del quale resta un calice il cui valore si compenetra nella bellezza degli smalti, degli sbalzi e dei ceselli e delle dorature che donano lucentezza all’argento che è materiale di base. (M. D’Onofrio, Mostra di arredi sacri, Catalogo, 1974).
‘Battista de Narne me fe’ un capolavoro di devozione religiosa raccolta in diciotto riquadri dedicati ai Santi rappresentativi dell’area, da Santa Caterina di Alessandria a santa Margherita di Antiochia, da Gesù alla Madonna addolorata, da san Michele Arcangelo a san Giovanni Battista, ed altri ancora della venerazione popolare, nella quale trovava spazio il culto di san Francesco di Assisi.
Si può credere che l’orafo di Narni abbia avuto esperienze comuni ad altri artisti dell’area tra Toscana e Umbria, e un riferimento può riscontrarsi in un simile manufatto di Catalauccio da Todi
Il calice di Battista era stato richiesto da Giacomo di Francesco Donatucci, riferibile alla famiglia che ancora ai primi decenni del Quattrocento rivestiva un importante ruolo sociale a Terni, ed è conservato in quella Cattedrale.
Nel 1651 è’ stato trasformato in reliquiario del Preziosissimo
Sangue, ed è annualmente esposto in quella ricorrenza.
La bottega dell’orafo nel Medioevo
E torniamo dove abbiamo iniziato, ossia alla bottega dell’orafo, che era a metà strada tra l’officina di un fabbro e lo studio di uno scultore, e presentava caratteri simili ovunque, a prescindere dalla sua localizzazione, considerando che le tecniche utilizzate da Parigi a Norimberga da Firenze a Roma, erano le stesse, salvo il prevalere, per gusto o preferenze locali, di questo o quel tipo di lavorazione.

Vi era il banco – e qui si riportano appunti di Mario Matticari, scritti proprio per la bottega ricostruita nel Terziere di Santa Maria– su cui si eseguiva gran parte delle lavorazioni mentre i vari strumenti erano sistemati alle pareti, su una serie di ripiani nei cui fori trovavano alloggio in bell’ordine bulini, martelli, lime, ceselli, pinze, tenaglie, trapani e quant’altro necessario alle diverse tecniche impiegate.
Sparsi sul banco, sui ripiani e a terra, potevamo trovare i numerosi
modelli in legno, in cera o in bronzo per le fusioni. E non poteva mancare la fornace, utilizzata per le fusioni dei metalli, per cuocere lo smalto e per eseguire la doratura a fuoco.
Accanto alcune macchine tipiche del medioevo, come la pressa, il filatoio, il tornio ed il laminatoio che avevano lo scopo di rendere più efficiente il lavoro dell’orafo.

In questi ambienti fecero il loro apprendistato alcuni dei grandi artisti del tempo rappresentato, da Andrea Pisano a Lorenzo Ghiberti, e ancora Masolino, il Pollaiolo, Filippo Brunelleschi, Donatello, Sandro Botticelli e Andrea Verrocchio e il ‘nostro’ Domenico Ghirlandaio.
Dimostrando che I’oreficeria era arte in cui conoscenza e manualità vanno di pari passo con il gusto ed estetica, sperimentate in tutte le sue forme, a creare Bellezza.
Marco Matticari con Claudio Magnosi

